La Stampa,19/04/2010
Nel 2015 i «nuovi mercati», dalla Russia al Messico alla Corea, potrebbero rappresentare per il
«made in Italy» un potenziale di crescita di circa 3,8 miliardi di euro. Un dato estremamente interessante, illustrato nel rapporto
«Esportare la Dolce Vita» appena presentato da Confindustria in collaborazione con Prometeia e Sace. Basterebbe che l’Italia mantenesse l’attuale quota di mercato e l’espansione della classe medio-alta di questi Paesi farebbe il resto.

Certamente una buona notizia per le nostre aziende, che però dovrebbero guardare oltre i numeri e porsi qualche domanda. E’ così scontato che la quota di mercato resti la stessa? In fondo non è impensabile che in questi anni altri Paesi imparino a fare (e vendere) belle scarpe o belle borse. L’assunzione di base è che questi nuovi mercati continueranno a comprare prodotti «made in Italy» non solo e non tanto per la loro qualità, ma per l’immagine a essi associata. La famosa «dolce vita». Ed è qui che dovremmo fermarci a riflettere.
Cosa significa davvero, esportare la dolce vita? Questa è la domanda da porsi e che non può essere catturata da alcune stime sull’andamento del mercato.